Un anello sulle montagne della Duchessa

da Cartore per la val di Teve e il Malo Passo, il lago della Duchessa e rientro per la val di Fua.


La val di Teve è uno degli accessi al cuore del Velino e una delle tante valli sul versante Ovest della montagna che si infilano dentro il grosso complesso montuoso; è ammantata da qualche sorta di mistero, vietata in alcuni periodi dell’anno, a lungo si paventava un divieto assoluto, di certo un po’ fuori dai circuiti classici, insomma sembrerà strano ma non c’ero mai stato. Facile e scontato leggere sulle carte il bell’anello che si po’ compiere intorno al Murolungo concatenando vari sentieri, saliremo la Val di Teve col sentiero 2, senza entrare nella valle dei Briganti e col sentiero 2A che attraversa il Malo Passo, scivoleremo dentro la piana del Lago della Duchessa e caracolleremo di nuovo verso Cartore sul sentiero 2B, lungo le due ripide e strette valli che si infilano una sull’altra, quella del Cieco prima e quella di Fua a chiudere l’anello. Raggiunto lo splendido borgo di Cartore nel tenue chiarore di una giornata ancora non formata ma che si preannuncia ideale per una lunga passeggiata prendiamo a destra infilandoci tra le piccole case in pietra che lo compongono; la strada che le attraversa ben presto diventa carrareccia, sfila a fianco di una fattoria e di alcune casette in legno e si inoltra verso una sella boscosa che si fa intuire essere l’imbocco della valle ma che da qui non ne ha affatto le sembianze. Siamo ancora nella radura prima del bosco e ci accorgiamo di essere inseguiti da quella che sarà la nostra mascotte per tutta la giornata, silenziosa ci raggiunge e poi ci supera indifferente sarà il nostro compagno di viaggio, quello a cui affibbio da subito il nomignolo di “Castagna”; un canetto dal pelo lungo e arruffato, piccolo come una castagna, dal colore striato nero e marrone proprio come le castagne, silenzioso e dallo sguardo vispo, non si fa capire ma lui ha già capito noi, rimane davanti un centinaio di metri, ogni tanto si ferma per guardarci e vedere cosa stiamo facendo e riprende il suo viaggio. La stradina serpeggia tra in rado bosco, fino ad entrarci, Castagna sempre a debita distanza ci anticipa, fino alla Bocca di Teve dove una sbarra chiude al traffico dei mezzi motorizzati (20 min. da Cartore). Entriamo nell’ampio sentiero di fondo valle completamente avvolto da una boscaglia, Castagna si defila sulla destra sul sentiero che continuando condurrebbe a S. Maria in Valle. Chissà cosa mi aspettavo dalla val di Teve, pareti ripide e una forra da percorrere popolavano la mia immaginazione, nulla di questo per molto tempo, solo un sentiero largo al limite della strada di montagna che sfila sotto un basso e fitto bosco; lentamente inizia a salire, pochi sono gli strappi e la pendenza si mantiene costante, quando non pensiamo più alla nostra mascotte del primo chilometro eccola che ci sbuca alle spalle silenziosa e discreta, Castagna ci ha raggiunto e superato, si inoltra nel bosco e ci ritorna a fianco per ripartire subito dopo. Simpatica e curiosa compagnia la sua, ci chiediamo fin dove avrà voglia di accompagnarci. Dopo una cinquantina di minuti da Cartore le prime pareti verticali sul lato dello Iaccio dei Montoni compaiono dalla volta del bosco, ci sfiliamo sotto, nei pochi slarghi successivi a destra scorgiamo anche le alte creste del Rozza, pareti meno ripide e più boscose ma sempre verticali sulla valle, le immagini che popolavano la mia fantasia iniziavano a corrispondere alla realtà. Alcuni brevi tratti della valle sono segnati da slavine potenti e da antiche frane, le spioventi pareti dello Iaccio dei Montoni articolate in diversi terrazzi e balzi raccontano chiaramente degli instabili equilibri che si possono formare nella stagione invernale, appare quanto mai ovvia la pericolosità di questa valle in caso di neve e quindi quanto mai logici e assennati i divieti di accesso in questo periodo. Superiamo le frane e le tracce delle slavine ed un paio di salti repentini sulla strada che ora è scavata dallo scorrere dell’acqua e inutilizzabile da qualsivoglia mezzo a motore, la valle inizia ad allargarsi e la traccia scorre più ampia e piatta; entra più luce, il bosco si allarga e si fa più alto, gli alberi sono più importanti, alcuni tratti sono di sottobosco e poi riprende la strada che lentamente inizia a volgere verso destra aggirando il costone che scende dal Rozza, Cartore è indietro un paio d’ore di cammino. Dimenticavo Castagna, silenzioso come un fantasma trotterella ora avanti a noi ora dietro ed ora dentro il bosco ma continua ad essere con noi e sempre vigile e attento alle nostre intenzioni; se noi ci fermiamo lui ritorna indietro e si ferma lì accanto per ripartire quando ci vede intenzionati a rimetterci in marcia, sempre un momento davanti ai nostri pensieri, sta facendo il triplo di chilometri rispetto a quelli nostri. La dorsale che scende dal Rozza è ora davanti sulla destra, la strada sale più ripida ed entra in una valle più larga, in meno di mezzo chilometro il bosco si dirada e arriviamo sulla soglia della valle dei Briganti, su due grosse rocce a terra frecce e segnali sono molto chiari, verso sinistra per il lago della Duchessa. Il sentiero tra rocce sporgenti devia repentinamente a sinistra che quasi si ha la sensazione che si stia tornando indietro, inizia a traversare verso il Malo Passo ora da qui ben visibile e definito. La traccia, ben segnalata si defila tra piccole rocce in leggera pendenza in mezzo ad un bosco rado composto da faggi importanti e monumentali, poi inizia a salire, si appoggia sullo spigolo della montagna ora qui sassosa e ghiaiosa e si affaccia prepotente sulla boscosa val di Teve che si inizia a scoprire in tutta la sua grande presenza. Il tratto che sale al passo si è sicuramente quello più bello dell’intero anello, fatto salvo il gioiello del lago, terrazze sporgenti fanno godere di viste mozzafiato, sulla val di Teve e non solo, dietro si allarga il largo catino della valle dei Briganti, le vette più alte via via che si sale iniziano a far risaltare i loro profili, è un bel panorama quella grande valle con tutte quelle montagne intorno, dal colle dell’Orso al Bicchero fino al Sevice e da ultimo alla piramide del Velino. Imponente la grossa e rocciosa mole del Rozza che tra ghiaioni e montagne secondarie scende ripido sulla valle sottostante; era una nuova prospettiva del Velino e delle sue montagne, una entusiasmante prospettiva che arricchisce le mie conoscenze su questo gruppo montuoso. Il Malo passo si presenta come una piccola forcella, pochi passi si è quasi sul versante opposto, ancora una salita leggera e si attraversano una serie di piccole praterie che anticipano la conca del lago della Duchessa; per arrivarci percorriamo da ultima una lunga valle interna che degrada leggera tra una serie di dune. Nel frattempo Malo Passo dietro di noi è ormai una lontana piccola forcella erbosa, si confonde con le quinte formate dalle montagne del Velino, la sensazione è quella di essere isolati, fuori dal mondo, nemmeno i nostri passi sentiamo tanto è soffice il prato che calpestiamo, Castagna è sempre con noi, cento metri davanti a noi, quando entra in una depressione o scavalla una dolina e non ci vede più, torna indietro fin tanto non si assicura che ci siamo, non abbaia, non scondinzola, trotterella veloce e basta, è finto, solo si assicura che ci siamo, mi viene il dubbio che si sia assunto il ruolo di guida, di angelo custode per riportarci a valle, in fondo lui è sicuramente di casa quassù; ci stiamo affezionando a quella simpatica presenza, abbiamo dovuto ammetterlo. Tra dune erbose e la valletta stretta che scende lenta nel piano senza orizzonti se non le dorsali del Costone fino all’Uccettu’ e di Punta Zis, si cala lentamente di quota, ogni svolta ci sembra di dover vedere il lago ma non è così perché c’è la prossima gobba a chiudere le quinte; è sempre lui, Castagna, che compie un altro gesto strano, fermo davanti a noi cento metri ci aspetta come mai ha fatto, quando arrivo, invece di aspettare una carezza riparte lento e si volta di nuovo, scorgo uno spicchio del lago, mi viene da sorridere, è come se davvero ci avesse letto nel pensiero e ci avesse voluto dire “eccolo il lago, da qui si inizia a vederlo, non come avete fatto voi fino ad ora”, lo sto personalizzando lo so, ma quel cane era puntuale in ogni sua azione, andava solo interpretato. La traccia è ben marcata anche se sulle rocce sporgenti frequenti bandierine anticipano le scelte da fare, d’altra parte si viaggia a vista, l’inconfondibile sagoma ad arachide del lago della Duchessa è li al centro della larga conca che gli converge tutto attorno; scendiamo tenendoci sul versante destro, sotto le coste del Vado dell’Asina, in basso molto lontano una mandria di mucche e un folto gregge bivaccano sonnolenti. Dove c’è gregge ci sono cani da pastore e dove ci sono cani da pastore ci sono maremmani sempre pronti a rompere le scatole; sono lontani da noi quasi duecento metri eppure non gli basta, si mettono ad abbaiare tutti insieme e a darsi la carica l’un l’altro, sono quattro e nel giro di un minuto diventano furiosi, si mettono a correre verso di noi e sembrano inferociti, incazzati neri. Intanto mi munisco di proiettili, come posso mi carico di pietre da lanciare, sperando di riuscire a colpirne qualcuno come ultima difesa mai ce ne fosse il bisogno; Castagna non pare troppo preoccupato, ma siccome ce ne vogliono 4 di lui per fare un maremmano non si sa come è, me lo ritrovo su un sentiero parallelo a monte, questa volta non fila per conto suo, ha deciso che possiamo essere sacrificati e ci ha usato da scudo. A parte la nota divertente su Castagna i maledetti sacchi di pulci bianchi non avevano intenzione di fermarsi, il loro non era un semplice alto là, ci sono arrivati a trenta metri tanto da vederne i canini appuntiti, anche le carie riuscivamo a vedere tanto digrignavano i denti. Prima di passare all’artiglieria ho provato con un urlaccio e a dargli il primo avviso, così tanto per dirgli che non sarebbe stato facile azzannarci; un urlaccio, poi un altro, il cenno di lanciare le pietre e come si sono aizzati si sono calmati, piccoli latrati, qualche abbaio, avanzavano ora lenti di traverso e non più puntandoci diritti, insomma stava funzionando. Ho rincarato la dose, altri urlacci e ha funzionato, dietro front e via, un abbaio ogni tanto per salvare il “muso” e si era giunti ad un onorevole compromesso, loro avevano protetto il gregge e si erano guadagnati la pagnotta, noi avevamo salvato il sedere dalle loro zanne. Castagna sarà stato orgoglioso di me, tranquillo come non lo avesse riguardato ha ripreso a trotterellare davanti a noi cento metri, infingardo di una cane. Siamo intorno al lago, dal malo Passo non è passata un’ora, le acque limacciose e grigie rispecchiavano esattamente il cielo che nel frattempo di era chiuso, incupito e popolato di minacciosi e bassi nuvoloni, anche qualche goccia di pioggia scendeva, la minaccia di uno sgrullone era più che tangibile. In ogni condizione questo lago è un gioiello della natura, incastonato in queste praterie è uno dei pochi scrigni naturali sempre ricco di acque; anche se poche e basse in questo momento di fine estate, di certo avrà patito la lunga siccità di questo periodo. L’ansa del suo bacino verso Ovest era scura, quasi nera in lontananza e non se ne capiva il motivo; ci siamo avvicinandoci ci siamo accorti che era praticamente a secco, l’intero lago era indietreggiato di una decina di metri dal suo alveo naturale e l’ansa ad Ovest per buona parte asciutta era costellata da un deserto melmoso, di grosse zolle crepate. Mai visto questo lago in una condizione di poca acqua come questa. A Castagna il lago interessava poco, era già avanti, lassù sulla piccola dorsale che ci guardava fermo, sembrava insistere per faci dare una mossa, non rimaneva che dargli retta. In una mezz’oretta raggiungiamo le Caparnie, al rifugio Panei ci fermiamo per uno spuntino, Castagna che come al solito era avanti intuisce e torna sui suoi passi, me lo ritrovo accucciato accanto ai piedi, chissà cosa vorrà quello sguardo languido? E’ bastato un po’ di pane strofinato nel salame per accontentarlo (il salame l’ho mangiato io ovviamente), non un abbaio, non una rimostranza, solo lo sguardo languido e pietoso per farsi notare e a questo punto premiare con davvero poco. Il meteo stava imbruttendo sempre di più, si era alzato anche un vento insidioso, l’aria sapeva di pioggia sempre di più tanto che ci siamo sbrigati a ripartire, fiduciosi non abbiamo indossato i gusci, ci siamo solo mossi di buon passo ma già il primo grosso faggio ci siamo fermati per utilizzarlo come ombrellone, uno scroscio violento, certo non imprevisto, per fortuna le fronde erano ancora fitte, guscio, cappuccio e protezione per lo zaino, ripartiamo rassegnati di prenderci acqua fino a valle. Imbocchiamo il vallone del Cieco che Dio la manda, bardati così riusciamo a percepire poco di quanto abbiamo intorno, nemmeno rumori se non quello della pioggia sui nostri gusci. Il bosco non copre più, ormai è un piovere ed uno sgocciolare costante e fitto, in dieci minuti così come ha iniziato smette, fa caldo dentro i gusci, nuova sosta per spogliarsi e di nuovo in marcia. Stavolta Castagna non era con noi, uno sguardo attorno ma niente, era sparito, ci ridiamo sopra, davvero ci ha preso per due pellegrini cittadini, quando ha visto che abbiamo imboccato la via della discesa si è sentito sicuro di averci guidato a destinazione, il suo compito era finito; promosso a pieni voti guida di mezza montagna, pure simpatica, peccato non si sia fatto ripagare nemmeno con una coccola. Cinque minuti e riprende a piovere, lento prima, dai resistiamo, resistiamo, no finiremmo fradici nel giro di niente, di nuovo il guscio e di nuovo la protezione allo zaino, si riparte, piove che siamo nei tratti più impervi della discesa, nell’imbocco della val di Fua, rocce scivolose occorre stare attenti, nei tratti dove il sentiero si assottiglia e scorre di fianco alla profonda forra tornano utili le catene disposte lungo il costone roccioso (quante volte mi son chiesto il perché di questa catene, ora la mia superbia ha avuto la giusta lezione); poco sotto prima di prendere i tanti fitti e ripidi tornanti anche esposti smette di nuovo di piovere, uffa, se continua così sarà una rottura fino in fondo, fermi di nuovo, impossibile continuare con i gusci, stiamo affogando nel nostro sudore, per giunta abbassandoci di altitudine l’umidità ed il calore aumentano passo dopo passo. Scesi i tanti tornanti si entra nella forra della val di Fua, il bosco è basso e fitto, ha smesso di piovere definitivamente e si è addirittura rasserenato, raggi di sole filtrano nel bosco disegnando lance incandescenti nella rarefatta umidità del sottobosco, momenti di pura magica in una sorta di luce quasi palpabile. Più veloce del solito è stata questa volta la discesa, l’apertura della valle e la tettoia segnaletica a fine sentiero ci prendono quasi di sorpresa, abbiamo completato l’anello di circa 15 chilometri in 6 ore, non rimaneva che chiuderlo e tornare alla macchina, cinque minuti e c’eravamo, una bella sciacquata alla fontana di Cartore e ad attenderci c’era la nostra trattoria di Corvaro. Un altro pezzo di Velino è archiviato, nuovi sentieri si sono aggiunti ai vecchi, è una bella sensazione aggiungere conoscenze del territorio.